Il mio ricordo dell’Amiata – di Giovanni Castellotti
Per molti l’acqua è un elemento insapore. E l’atto del bere è quasi automatico, privo di emozioni. Eppure l’acqua del monte Amiata, con quel suo sprigionare sollievo, fa parte dei miei ricordi indelebili.
In una giornata di afa estiva, dal suggestivo borgo medievale di Abbadia San Salvatore, animato da un mercatino promosso dalla parrocchia per finanziare un restauro (a cui abbiamo ovviamente contribuito), con la mia famiglia ci siamo inerpicati verso la cima della montagna. La natura ci ha accolto scortandoci con la visione protettiva dei boschi di castagni, con i colori intensi degli ambienti multiformi e con la frescura di un’ombra imponente e diffusa.
Era la prima volta che assistevo a quello spettacolo unico di un ambiente così vivo e avvolgente, in grado di cancellare la canicola sofferta in paese con una sensazione di assoluto benessere.
Abbiamo attraversato ampi pianori, brulicanti di umanità alla ricerca di conforto e terreni scoscesi che ci hanno restituito la forza di un paesaggio integro e possente.
In cima, tra una funivia ferma e alcuni stand di prodotti gastronomici locali che arricchivano l’atmosfera di profumi intensi, ho apprezzato il “sapore” dell’acqua fresca di una fontana. Un rito apparentemente banale e inflazionato, quello del bere: ma in quell’occasione, accompagnato per mano dalla natura rigogliosa, ho avuto modo di apprezzare quella refrigerante bevuta, quel sorseggiare e assaporare il prezioso liquido, godendo della grazia di Dio offerta dal bosco.
La reminiscenza dell’Amiata è legata al tripudio di sensi concesso dalle acque preservate dal protagonismo scenografico dell’ambiente.