Chi arrivi ad Abbadia San Salvatore, dopo due ore di viaggio da Firenze e poco più di un’ora da Siena, è colpito dalla particolare configurazione del paese: che è molto più grande di quanto si sarebbe potuto supporre, data la distanza dai maggiori centri abitati e l’altitudine.
Il vecchio borgo antico è stato inglobato nel paese industriale, con le sue case operaie e gli edifici della società mineraria; il municipio, in stile neogotico, connette il paese nuovo alle sue spalle con il borgo, che fronteggia con le sue case medievali vere la facciata neo medievale costruita negli anni venti.
Circonda il tutto un bosco compatto di castagni, che sale sulla montagna; scendendo a valle, il bosco cede al coltivato, fino all’ampio alveo del fiume Paglia, gigantesca fiumara selvaggia e quasi sempre asciutta, lungo la quale spesso pascolano greggi di pecore. Sono le pecore dei pastori sardi, da alcuni decenni stanziatisi in queste campagne deserte.
L’attività mineraria, iniziata sul volgere del secolo passato, ha per molti decenni attratto la popolazione ad Abbadia dai paesi circostanti. Così mentre quelli si spopolavano, il borgo minerario cresceva, fino a diventare il centro urbano maggiore della provincia, subito dopo Siena. Anche l’illuminazione elettrica arrivò precocemente, grazie alla centrale che già alimentava la miniera; così quello che un tempo era stato uno dei borghi più isolati e impervi della montagna si mostrava tutto illuminato nella notte ai paesi un tempo più ricchi del fondovalle.
La miniera, vera potenza straniera portatrice di progresso (siamo alla fine del secolo XIX, il mito del progresso ha raggiunto il suo Zenit) cancella in pochi anni la precedente stratificazione sociale: un popolo di piccoli e medi proprietari terrieri che coltivavano una difficile terra di montagna si trasforma in un paese di minatori.
Le maglie molto sottili che caratterizzano la società dei paesi agromontani si dissolvono in pochi anni e la complicata stratificazione sociale di un tempo lascia il posto a quella composizione demografica uniforme che caratterizza tutti i paesi industriali ed in special modo i borghi minerari.
Oltre ai proprietari e ai contadini spariscono gli artigiani,lasciando il campo ad una schiacciante maggioranza di minatori ed a qualche impiegato.
Tutto ruota attorno alla miniera e al suo padrone, la Società Mercurifera Monte Amiata.
Poi, dopo neppure ottanta anni, una nuova trasformazione, forse – se possibile – ancora più radicale della precedente: la miniera chiude.
Liberamente tratto da “Parco Nazionale Museo delle Miniere dell’Amiata” – Edizioni Effigi